1 - GIORGIO ERA GIORGIO DEL CAMINO
Giorgio era Giorgio del Camino, e Il Camino è una pizzeria
sulla statale per la Francia. Quando io e Anna arrivammo a Limone Piemonte, ci
dissero subito che se volevamo mangiare una pizza buona dovevamo andare da
Giorgio del Camino, e noi ci andammo.
Entrare al Camino era un’esperienza: luci soffuse, palla a
specchietti tipo discoteca roteante e multicolore, tavolini con separé e panche
fornite di cuscini di tessuto floreale da tinello inglese, che doveva fare
l’effetto montagna; lampadari a calottina dello stesso tessuto che terminavano
con una leziosa frappettina. Musica pop di sottofondo. E quasi quasi ti sentivi
a casa, a tuo agio, protetto dalla luce calda e dalla musica gradevole. Insomma,
alla fine il kitsch non infastidiva, anzi.
Giorgio ti accoglieva con un’esplosione vocale modello
imbonitore: Buoona seraaaa, come andiamoooo!!?? Moolto lieto di vederela
signoraaaaaaaaaaaaaaaa. Un timbro di voce particolarissimo, acuto e rotondo
insieme, con una nota metallica e una erre arrotata come qualcosa che gratta
nel legno.
Il tutto a un volume di decibel indefinito, e il sorriso a
32 denti della sua grande bocca si dilatava fino a deformargli il volto. Accattivante,
malizioso. Belloccio, biondino, lineamenti regolari, occhi nocciola, altezza
media e … un misto di gestualità maschile e di mossette gay perfettamente
amalgamate.
Giorgio era un tipo simpatico e faceva ridere con niente,
bastava la tonalità della voce, la mimica e certe sue battute tipo: Pace e pene,
signori, pace e pene - Signori e
signore, più gente c’è più animali si vedono - Eh qui abbiamo le luci basse perché meno si
vede meglio è - diventavano un condensato di humor esilarante. Dava da lavorare
agli individui più inconsueti: fidanzatini proletari modello Pasolini,
extracomunitari di ogni origine ed età, spiantati, drogati redenti o non
ancora, ex detenuti, soggetti borderline di diverse tipologie, in una
multietnia assolutamente inusuale. E a
tarda sera, meglio dire in piena notte o primo mattino, raccoglieva e sfamava
una serie di persone: Franchina la gattara dagli occhi viola come Liz Taylor,
Monique che era Monique e basta per
tutti i nottambuli della provincia e della costa, Elsa, detta anche Elsamerlino
perché leggeva le carte, Teulin Buru che lavorava in ferrovia e che si era
fatto fregare tutti i risparmi e diceva sempre, un giorno o l’altro mi do
fuoco, un giorno o l’altro mi do fuoco, e tutti pensavano che chi lo dice non
lo fa mai, e invece un giorno lo fece davvero. Lo trovarono bruciato a morte
dentro la sua macchina nella stradina sopra la Puntza, subito dopo la galleria
del Col di Tenda.
Mangiavano e trascorrevano le ore del buio, mentre tutti gli
altri, quelli normali, dormivano, a raccontare storie personali di vita vissuta
con infiniti consigli/sconsigli da seguire e finivano immancabilmente a narrare
storie esoteriche, di altre dimensioni, di masche, (sorta di streghe) e fuochi
misteriosi, e fantasmi veri e apparizioni certissime, e reincarnazioni improbabili
e buddismo impolverato e zen elementare. E astrologia sviscerata e comparata
fino all’esaurimento psicofisico. Giorgio li/le lasciava dire, ma sul suo
sguardo era dipinta bella limpida un’espressione scettica e disincantata da, io
si che conosco il mondo.
Quando albeggiava se ne andavano a dormire le ore del giorno
per rialzarsi di sera e vivere quelle della notte. Monique aveva una
cinquantina d’anni, la minigonna inguinale, il decolté all’ombelico, il
rossetto rosa rosa immancabilmente sbavato e una voce perennemente alterata
dall’alcol.
Franchina faceva la parrucchiera in casa, era dotata di un
certo estro, purtroppo di scarso senso del denaro. Un tempo bellissima, ora
anch’ella cinquantenne (circa) delusa irrimediabilmente dagli uomini si
dedicava con tutta se stessa a un numero imprecisato di gatti, di cui portava addosso
le tracce indiscutibili che colpivano vari sensi.
Elsa aveva una capigliatura crespa e nera, cotonata in cima
tipo anni sessanta, trucco pesante, abbigliamento ambiguo. Era stata sposata e
aveva due figli. Da anni stava con un nuovo compagno di larghe vedute che non
sindacava sulle sue abitudini e sui suoi orari.
Quando dopo le medie andò a lavorare nel forno delle
Francesine, imparò presto il mestiere, diventò abile e svelto e in poco tempo
lavorava per due.
Signorina signorina, lo chiamava la gente, vorrei … lui non ci faceva caso al genere, che importava?
lui li "imbarbagliava" con la sua parlantina e nel frattempo fregava sul peso o
abbondava rispetto alle richieste. Imparò a fare la pizza e a far di conto come
un matematico dottore e a 20 anni, mostrando una precoce quanto audace
intraprendenza che gli veniva da quel carattere volitivo dell’infanzia, aprì la
sua pizzeria, (Il Camino, appunto.) Era il 1985, il boom dello sci era già un
po’ in declino ma lui si accaparrava tutto il passaggio dalla pianura al mare e
viceversa. E chi ci andava scendendo, ci tornava salendo. L’attività andava a
gonfie vele e presto le lire corsero a fiumi nelle mani di Giorgio che iniziò a
cercare i modi migliori per spenderle. Pensò bene d’insegnare il mestiere alla
sorella Marisa, che era magrolina e aveva la sua stessa voce e se non la vedevi
e la sentivi solo parlare ti veniva il dubbio se fosse lei o Giorgio. Le
insegnò prima a fare le pizze, poi a maneggiare i soldi, e lui iniziò a
scendere a Nizza sempre più spesso. All’inizio ci rimaneva due o tre giorni,
dal lunedì al mercoledì. Ma con l’andare del tempo diventò raro che tornasse anche solo per il fine
settimana. Si comprò un appartamento nella zona del porto, vicino a piazza
Massena.
Della sua vita in Costa Azzurra si sa poco. Viene facile
immaginarlo in giro di notte per discoteche, night club, club prive, o lounge
bar, fra champagne, whiskey e un roteare di ragazzi sotto alto grado
d’eccitazione, luccicanti e ritmati dalla musica, in feste da paillettes e
cotillon, trascinate fino all’alba,
densamente promiscue. Ma sono solo supposizioni. Magari conduceva una vita moderata, se non morigerata. E poi a lui
piaceva il limoncello, tutta un’altra storia. Di certo se la godeva, a modo
suo. Man mano che scorrevano gli anni tornava a Limone con macchine sempre più lussuose
e fidanzati sempre più giovani. Ci fu uno di questi fidanzati, in particolare,
che negli ultimi tempi gli rimase al fianco più a lungo, era uno splendido
ragazzo di colore, alto palestrato scultoreo. Ah, è bello quello, ripeteva
Giorgio, eh si l’è propri bel, col sorriso furbo e con quel suo tono che dava
l’idea di non prendere mai nulla sul serio. Sembrava avere imparato che nella
vita è meglio non innamorarsi dei fidanzati, e infatti il suo amore andava
tutto, e senza alcuna riserva, all’adorato carlino chiamato Matteo, che
coccolava e viziava come un figlio e che vestiva firmato dal guinzaglio al
cappottino.
L’ultima volta che ho visto Giorgio era proprio con Matteo
che gli trotterellava grassottello al fianco, aveva il
suo immancabile borsello di pelle color cognac stretto sotto il braccio e andava
dritto verso la BRE. Mi ha fatto uno dei suoi contagiosi sorrisi e mi ha
gridato: Ciao, eh, come vaaa? L’avranno sentito fino in piazza.
Poco dopo si è ammalato. Qualche mese di tira e molla
e poi il male se l’è preso definitivamente. Aveva 46